La sicurezza su lavoro: parliamone assieme
La sicurezza sui luoghi di lavoro
Il caso di Brandizzo
A seguito del disastro avvenuto a Brandizzo in provincia di Torino, iniziare a parlare di sicurezza sul lavoro mi sembra doveroso. I giornali e i telegiornali in questi giorni non hanno parlato d’altro, ma solo oggi ho letto un aspetto della vicenda che nei momenti appena successivi al fatto non è stato considerato. Mi riferisco alla noncuranza che gli operai hanno dato agli avvertimenti della giovane dirigente che li aveva informati che non avevano il consenso di iniziare i lavori. Quando ho letto la notizia sono stato colpito perché mi sono subito immedesimato nella giovane dirigente. Il quotidiano riporta una serie di commenti scritti sui social, di cui molti inneggiano alla discriminazione di genere e di età. La dirigente aveva avvisato per tre volte prima dell’incidente i lavoratori di non iniziare perché un treno doveva ancora passare, non è stata ascoltata e alla terza telefonata ha sentito in diretta il rumore dell’incidente tra il convoglio e gli operai.
Considerando le basi della sicurezza sui luoghi di lavoro, credo che la posizione del responsabile della squadra sia quella peggiore. Cioè quello che doveva essere il quadro, cioè il lavoratore con la responsabilità maggiore, quello con più esperienza, che fa diretto riferimento agli ordini del dirigente, ha il compito e il dovere di rispettarli e farli rispettare. Cioè colui che viene comunemente chiamato il caposcorta.
Comunque, la mia considerazione voleva focalizzarsi sulla giovane dirigente di RFI.
Gli inquirenti l’hanno interrogata per un totale di sei ore, un tempo tanto lungo da poter ricostruire tutto quello che è accaduto giorni prima e dopo l’accaduto. L’importanza e la gravità della posizione della giovane è indubbio, ma tenerla in scacco per così tanto tempo diventa anche fisicamente difficile da sostenere. Può essere plausibile che il pm abbia voluto in qualche modo metterla alla prova per farla cadere in qualche contraddizione. A qualcuno la colpa sicuramente va attribuita, ma gli operai vengono sempre dipinti come le vittime della tragedia. Gli operai sono dipendenti della Sigifer mentre RFI è rappresentata interamente dalla dirigente in questione. In un certo senso la vicenda può essere spiegata come un bilanciamento di colpe tra l’azienda Sigifer e RFI. Il datore di lavoro in questo caso è lo stato e il dirigente che lo rappresenta è proprio la giovane, questo dimostra l’importanza ricoperta dalla venticinquenne.
Il giornale la definisce il testimone chiave. Va valutato il sottile divario tra testimone e soggetto implicato nei fatti. Gli operai rispondono alle sue chiamate, sentono i suoi divieti di non iniziare i lavori, ma non l’ascoltano. A lei servono giorni di riposo per diminuire lo shock e solo oggi dopo giorni può essere ascoltata dagli inquirenti. Quello che non posso accettare è che sui social la ragazza viene incolpata di poca autorità a causa della sua età, perché è questo che assorbe un utente social, che legge i commenti: altro caso di discriminazione sui luoghi di lavoro per genere e per età. Un lettore pensa subito che la giovane età non può coincidere con l’assunzione di una grande responsabilità, in realtà dovrebbe essere l’opposto, ho un dirigente giovane? Lo ascolto perché per aver ottenuto quel ruolo ha lottato più forte di chiunque altro che per raggiunge quel titolo ha impiegato anni in più.
L’obiettivo di valorizzare lavoratori di giovane età passa sicuramente da episodi di questo tipo. Gli operai sono morti non perché si sono rifiutati di rispettare gli ordini di una donna venticinquenne ma perché non sono stati precisi nel loro lavoro.
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